Con sentenza pubblicata il 14 gennaio 2016, che qui alleghiamo nel testo francese, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha deciso 19 ricorsi patrocinati da diversi Studi Legali.
Tali ricorsi promossi contro l’Italia da circa 900 soggetti danneggiati da sangue infetto riguardavano:
– il decreto moduli del 2012 ovvero quello che ha introdotto i “paletti” alle transazioni ex lege n. 244/2007;
– l’eccessiva durata delle transazioni (tra questi, uno patrocinato dal sottoscritto Alberto Cappellaro);
– l’eccessiva durata dei processi civili di risarcimento;
– la mancata tempestiva esecuzione di alcune sentenze di condanna al risarcimento dei danni.
Le questioni erano molte e complesse, nel presente commento ci soffermeremo, quindi, sui soli profili di carattere generale, che sono di interesse per tutti gli aspiranti alle transazioni e all’equa riparazione.
Di particolare rilievo erano le impugnazioni avverso al decreto moduli del 2012, i ricorrenti si dolevano per l’introduzione di criteri nuovi ed oltretutto non previsti nelle precedenti transazioni del 2003, criteri che precludevano l’accesso alle stesse in base alla prescrizione e/o all’anno di contagio.
I ricorrenti auspicavano, altresì, che la Corte garantisse ai danneggiati un trattamento economico analogo a quello riconosciuto agli emofilici nel 2003 ovvero almeno 400 mila euro ai contagiati in vita e circa 600 mila agli eredi dei deceduti.
Inoltre i ricorrenti avevano evidenziato alla Corte che la procedura di equa riparazione (quella dei 100 mila euro prevista dall’articolo 27 bis del decreto legge n. 90/2014, convertito in legge 114/ 2014) non costituiva affatto un rimedio efficace alle contestazioni da loro sollevate.
Preliminarmente la Corte ha ricordato che suo primo compito, nell’esame di un ricorso, è quello di verificare l’assenza di rimedi interni che i ricorrenti avrebbero dovuto utilizzare prima di rivolgersi a Strasburgo.
Di norma l’esistenza di questi rimedi viene valutata con riferimento al momento in cui il ricorso viene inviato a Strasburgo, tuttavia, eccezionalmente la Corte può considerare come rimedio interno anche una procedura introdotta quando la causa europea è già stata avviata. Questo in effetti è quanto accaduto nel caso di specie.
Secondo la Corte, infatti, la procedura di equa riparazione costituisce un rimedio interno idoneo a sanare i ritardi lamentati, peraltro, solo con riferimento alla procedura transattiva, non invece per i ritardi relativi alle cause civili di risarcimento del danno instaurate in Italia, ritardi, tuttavia, la cui rilevanza o meno ai fini della Convenzione deve essere valutata caso per caso alla luce dello sviluppo processuale dei singoli giudizi.
Conseguentemente, tutti i ricorsi che chiedevano il riconoscimento di un danno da ritardo per l’eccessiva durata delle transazioni, incluso quello patrocinato dal sottoscritto Alberto Cappellaro, sono stati dichiarati dalla Corte irricevibili, per quelli concernenti, invece, l’eccessiva durata dei processi (con le precisazioni di cui sopra), la Corte ha liquidato, in favore di ogni singolo danneggiato, una somma, a titolo di danno morale, compresa per lo più tra i 20 mila e i 30 mila euro. Somme a cui i danneggiati potrebbero essere comunque costretti a rinunciare, qualora decidessero di accettare l’equa riparazione.
La Corte, inoltre, ha preso esplicita posizione su diversi aspetti concernenti le transazioni e l’equa riparazione.
Innanzi tutto ha evidenziato, richiamando le difese del Governo Italiano, che possono aderire all’equa riparazione non solo coloro che hanno una causa ancora pendente, ma anche chi abbia una sentenza negativa non più impugnabile (v. par. 169).
La Corte ha inoltre chiarito di non potersi esprimere circa la lamentata insufficienza dell’equa riparazione rispetto a quanto liquidato con le transazioni del 2003, non potendosi sostituire al Legislatore nazionale nel decidere l’entità della somma da offrire a titolo transattivo (v. par. 180), somma, comunque, che la Corte definisce esplicitamente come “non trascurabile” (par. 178) ed altresì “adeguata al fine di concludere le procedure transattive in corso” (par. 185).
La Corte qualifica, infine, come “non eccessivamente lungo” il termine previsto per la conclusione dell’equa riparazione ovvero il 31 dicembre 2017 (par. 186).
Risultano, pertanto, disattese le speranze di coloro che si attendevano una sentenza che imponesse all’Italia di transigere a certe condizioni, pronuncia, peraltro, difficilmente ipotizzabile tenuto conto del quadro normativo di riferimento.
In ultimo, la Corte riconosce agli odierni ricorrenti la possibilità di tornare a Strasburgo nell’ipotesi che lo Stato Italiano non concluda la procedura di equa riparazione entro il 31 dicembre 2017.
Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari