Con sentenza n. 11792/2016, depositata il 9 giugno 2016, resa in caso seguito dallo studio in associazione con l’Avv. Ernesto Vitiello di Milano, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato una pronuncia con la quale la Corte di appello di Milano aveva condannato il Ministero della salute a risarcire i danni conseguenti ad un’epatite C contratta con trasfusioni effettuate nel 1976.
Il Collegio ha evidenziato innanzi tutto che “le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare che il Ministero della Salute è tenuto ad esercitare una attività di controllo e di vigilanza in ordine (anche) alla pratica terapeutica della trasfusione di sangue e di uso di prodotti emoderivati e risponde ex art. 2043, per omessa vigilanza, dei danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi (v. Cass. S.U. n. 576 e 584 del 2008)“, statuendo altresì “che in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensì un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell’assunzione di sangue infetto“, pertanto “già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B – la cui individuazione spetta all’esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto – sussiste la responsabilità del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus“.
Principi, come ha correttamente ricordato la Corte, richiamati in numerose pronunce successive “(tra le quali Cass. n. 17865 del 2011, Cass. n. 2232 del 2016, Cass. n. 20933 del 2015) e non … contraddetti dalla sentenza impugnata“. A giudizio del Collegio, infatti, i giudici di appello avevano “accertato con accertamento in fatto non censurabile che si sia verificato il contagio posttrasfusionale di virus HCV a carico del XXX nel 1976, e quindi ritenuto, sulla base di una accurata ricostruzione degli obblighi normativi di prevenzione, programmazione, vigilanza e controllo in capo al Ministero, dando continuità a quanto affermato dalle Sezioni Unite nel 2008, sia configurabile la responsabilità del Ministero della salute per i danni provocati al XXX dal contagio verificatosi nel 1976, avendo il Ministero violato i propri obblighi di vigilanza sulla sicurezza del sangue e di adozione delle misure necessarie per evitare rischi per la salute umana già all’epoca esistenti ed esercitabili allo scopo di prevenire la possibilità di sottoporre soggetti bisognosi di trasfusioni alla somministrazione di sangue infetto“.
Invero, la Corte di appello aveva evidenziato come “una prima caratterizzazione del virus B … risale al 1965 (correttamente in tal senso Corte di Appello di Milano n. 1568/09)“, resa in altro caso seguito dallo studio, rilevando altresì come “sin dai primi anni ’70 era consigliata … l’analisi delle transaminasi per lo screening dei donatori di sangue (il cui elevato livello costituisce un sintomo significativo di disfunzionalità e sofferenza epatica e quindi di possibile infezione virale) e ritenuta l’esistenza di epatiti di probabile origine virale il cui agente non era ancora stato identificato“, elementi che giustificavano l’applicazione dei principi statuiti dalle Sezioni Unite nelle pronunce sopra riportate.
Alberto Cappellaro