Risarcimento: la conoscenza della riconducibilità dell’epatite alle trasfusioni deve fondarsi su dati di fatto obiettivi che si riferiscano al soggetto danneggiato, su informazioni alle quali abbia avuto accesso, sulle sue personali vicende e cognizioni; qualora i predetti elementi siano anteriori alla domanda di indennizzo la loro allegazione e dimostrazione grava sul Ministero della salute


Con sentenza n. 11298/2020, depositata il 12 giugno 2020, la Corte di Cassazione ha statuito ed in parte anche ribadito alcuni importanti principi in materia di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni conseguenti a contagio da sangue infetto.

La Corte ha innanzi tutto ricordato come sia principio consolidato quello secondo il quale “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita – o possa essere percepita usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, cioè dal giorno in cui la vittima sia in grado di tracciare la riconducibilità causale della malattia alla sua causa scatenante, e quindi ai possibili responsabili

La pronuncia qui commentata si sofferma su come debba individuarsi il predetto momento.

E’ parimenti pacifico che il giorno in cui il danneggiato domanda l’indennizzo ex lege 210/1992 costituisce “il momento ultimo di decorrenza iniziale del termine di prescrizione, in corrispondenza del quale è ragionevole attendersi che il soggetto contagiato, proprio perché si è attivato a richiedere l’indennizzo, disponga delle necessarie informazioni per ricondurre causalmente il contagio verificatosi all’evento scatenante”.

La Corte evidenzia anche che “la consapevolezza della riconducibilità causale può ben verificarsi in capo al danneggiato anche in un momento precedente alla presentazione della domanda per la concessione dell’indennizzo, qualora egli sia venuto in possesso in precedenza di sufficienti informazioni”, idonee a fargli percepire l’ingiustizia del danno subito.

Peraltro, secondo la Cassazione deve ritenersi che “una volta che la vittima abbia dimostrato la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, che costituisce la data ultima, in relazione alla quale deve ritenersi che essa abbia maturato la consapevolezza della origine del contagio, rientri nell’onere probatorio della controparte dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, l’esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione”.

E’ quindi illegittimo addossare “al danneggiato l’onere di acquisire dai sanitari, in presenza della diagnosi di epatite, ogni utile informazione sulla causa dell’infezione”.

La predetta provapuò esser data anche per mezzo di presunzioni semplici, ma pur sempre sulla base di dati di fatto obiettivi che si riferiscano al soggetto danneggiato, alle informazioni alle quali quello abbia avuto accesso ed alle sue personali vicende e cognizioni”.

In particolare, la prova non può essere desunta da mere ipotesi o congetture, come ad esempio quando si inferisca la conoscenza dell’origine della malattia “dalla mera scoperta, da parte della persona emotrasfusa “di essere ammalata di epatite”, e dalla circostanza che essa “aveva sin d’allora iniziato a curarsi”.

La sentenza impugnata è stata pertanto cassata, con l’enunciazione dei “seguenti principi di diritto:

(a) “in tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, ed ai fini dell’individuazione dell’exordium praescriptionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, spetta alla controparte dimostrare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, sia l’esistenza della malattia, sia la sua riconducibilità causale alla trasfusione;

(b) in tema di prova presuntiva, il fatto noto dal quale è consentito al giudice risalire al fatto ignorato deve consistere in una circostanza obiettivamente certa, e non in una ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto di ricorso alle praesumptiones de praesumpto”.

 

Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari