Con sentenza 581/08 la Corte di cassazione ha stabilito che il Ministero della salute è responsabile per i contagi post-trasfusionali successivi alla scoperta dell’epatite B, a prescindere dal tipo di virus contratto.
In applicazione di questo principio, la Corte di appello di Firenze aveva condannato il Ministero della salute a risarcire una danneggiata che nel 1977 aveva contratto il virus dell’epatite C a seguito di vaccino antitetanico, che costituiva un emoderivato, somministrato in assenza di opportuna vigilanza sui donatori.
Il Ministero aveva impugnato la pronuncia in sede di legittimità, affermando che nel 1977 non vi erano ragioni per impedire la produzione e commercializzazione delle immunoglobuline, poichè il virus dell’HCV fu scoperto molto tempo dopo, cioè nel 1988.
Con sentenza n. 7551 del 15 maggio 2012 la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Ministero in quanto la decisione di secondo grado si era “conformata ai principi esposti dalle S.U. di questa Corte con le sentenze n. 576 e 581 dell’11.1.2008”.
I giudici di appello avevano, infatti, correttamente dichiarato che “la normativa esistente nel 1977 già imponeva al Ministero della sanità l’obbligo di controllo e vigilanza in materia di impiego di sangue umano sia per emotrasfusioni che nella preparazione di emoderivati”, controllo che nel caso di specie non risultava effettuato.
La Corte evidenzia inoltre come all’epoca della trasfusione fosse “noto che valori molto elevati di transaminasi o di positività all’epatite B erano indici di rischio di contrazione dell’epatite non-A e non-B”.
Ulteriormente, la Cassazione ribadisce che “di nessun rilievo”è la circostanza che nel 1977 non fosse ancora stato isolato il virus C.
Infine, e questa è certamente la parte più significativa della pronuncia qui commentata, la Corte sottolinea che la responsabilità del Ministero della salute sussiste “già a partire dalla data di conoscenza del rischio di contagio dell’epatite B, comunque risalente ad epoca precedente all’anno 1978 in cui quel virus fu definitivamente identificato in sede scientifica”: un rischio di cui il Ministero era consapevole, quanto meno, già il 28 marzo 1966, quando emanava una circolare nella quale imponeva la “determinazione sistematica e periodica delle transaminasi sieriche dei donatori” ai fini della prevenzione dell’epatite virale.
Una responsabilità che secondo la Cassazione trova fondamento nelle numerose disposizioni che, quanto meno dall’entrata in vigore della legge 592/1967 (e quindi dal 15 agosto 1967), imponevano al Ministero di “vigilare sulla sicurezza del sangue e … adottare le misure necessarie per evitare i rischi per la salute umana”.
Ringraziamo il Collega Tommaso Onesimo del foro di Lecce per la segnalazione.
Alberto Cappellaro – Sabrina Cestari
Il presente articolo è pubblicato anche sul sito di Sabrina Cestari.