Con sentenza n. 21165 del 25 ottobre 2012 il Tribunale di Bologna ha condannato il Ministero della salute a risarcire gli eredi di un soggetto politrasfuso dal 1965, anno di nascita, fino al 2005, anno del decesso.
La sentenza è molto importante perché è la prima volta che il Tribunale di Bologna applica i principi, ormai consolidati, della Corte di cassazione, secondo la quale “sin da fine anni sessanta era nota la pericolosità intrinseca nelle trasfusioni, sì che era imposto al Ministero un obbligo di controllo e direttiva sulla gestione del sangue”: un obbligo, come correttamente osserva il Tribunale, che risale a testi normativi già in vigore in quel periodo, prima tra tutte la legge 592/67, entrata in vigore il 15 agosto 1967.
Aggiunge il Tribunale che “né si può dire che a fine anni sessanta non fosse ancora nota la diffusione a mezzo trasfusioni” di virus patogeni: “da quel tempo (fine anni 60/inizio anni 70) va quindi affermata la prevedibilità dell’evento lesivo, con responsabilità del Ministero; prevedibilità che è tale rispetto non a ciascuna singola malattia (hiv, hcv, hbv), ma all’unitario danno alla salute derivante da trasfusione infetta, dunque a prescindere che il virus hiv, hbv o hcv sia stato scoperto in epoca successiva a quella predetta”.
In merito alla colpa, il Tribunale osserva che, pur gravando sul danneggiato l’onere di dimostrarne l’esistenza, “non si può non considerare il principio di vicinanza della prova, poiché è il ministero a poter conoscere quali attività di prevenzione e controllo sul sangue siano state adottate. Ma sul punto non v’è alcuna allegazione specifica che valga a smentire la colpa (quali controlli siano stati eseguiti sul sangue da trasfondere). Dovendosi aggiungere, peraltro, che già il fatto di non aver adottato un piano sangue prima del 1994 (in ritardo rispetto al 1967) costituisce colpa (Cass. 17685/11)”.
Mi pare doveroso un grande complimento al Collega ed amico Marco Calandrino per l’eccezionale risultato ottenuto.
Alberto Cappellaro