Con sentenza n. 581/08 le sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che il termine prescrizionale di cinque anni, previsto per il diritto al risarcimento del danno per epatite post-trasfusionale, decorre “non già dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”.
Facendo leva su quest’ultimo inciso, in alcuni casi la terza sezione civile della Suprema Corte ha ritenuto che tale momento coincida con quello di prima diagnosi della patologia, in qualche caso addirittura con quello del primo riscontro della positività degli anticorpi; il ragionamento, assai discutibile, alla base di questa interpretazione è che, contestualmente alla diagnosi, il medico deve aver necessariamente reso edotto il paziente anche sulla probabile origine della patologia e, quindi, sulla circostanza di aver contratto la malattia a seguito delle trasfusioni, elemento, secondo la Corte, idoneo a ritenere che il danneggiato sia consapevole dell’ingiustizia del danno subito, potendo così formulare una richiesta risarcitoria al Ministero della salute (in questo senso si veda, ad esempio, Cass. 12445/12).
Una interpretazione, come si è detto, assolutamente non condivisibile, che oltre a tutto contrasta con quanto statuito dalle sezioni unite, che hanno invece stabilito che il momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita come danno ingiusto coincide “non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4 ma con la proposizione della relativa domanda amministrativa” e, quindi, con il giorno nel quale il danneggiato chiede l’indennizzo previsto dalla legge 210/92.
Con alcune recenti pronunce la terza sezione civile è tornata a esprimersi in maniera più conforme al dettato delle sezioni unite.
Con la sentenza n. 20999 del 27 novembre 2012 ha evidenziato che, poiché nel caso di specie “rileva il momento in cui la malattia venne percepita o avrebbe potuto essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”, non è corretto sostenere che “la prescrizione dovrebbe decorrere” da quando il danneggiato “ha conosciuto il proprio stato di sieropositivo da HIV, ovvero addirittura dalla data di ‘perfezionamento dell’evento’, vale a dire dalla data del contagio”.
Aggiunge la Corte che piuttosto, “come pure rilevato dai più volte citati precedenti a Sezioni Unite, tenuto conto che l’indennizzo è dovuto solo in presenza di danni irreversibili da vaccinazioni, emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati, appare ragionevole ipotizzare che la vittima del contagio abbia avuto una sufficiente percezione sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose già al momento della proposizione della domanda amministrativa; percezione, la cui esattezza viene solo confermata con la certificazione emessa dalle commissioni mediche”.
Ancora, con sentenza n. 23321 del 18 dicembre 2012 la terza sezione civile ha ribadito che “il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale, che a norma dell’art. 2935 e art. 2947 c.c., comma 1, decorre non già dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, a tal fine coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4, ma con la proposizione della relativa domanda amministrativa”.
Infine, particolarmente significativa è la motivazione della sentenza n. 23320, depositata sempre il 18 dicembre 2012.
In tale pronuncia la Corte, oltre a ribadire la massima da ultimo citata, evidenzia la correttezza del ragionamento seguito dai giudici di appello, quando affermano che “nella fattispecie è ben vero che la S. acquisì consapevolezza della sieropositività per HCV già nel novembre (OMISSIS) ma … la scoperta della malattia non significa affatto acquisizione anche della consapevolezza della riconducibilità del suo stato morboso alla trasfusione subita. Sotto tale profilo, l’unico indice rivelatore dell’acquisita consapevolezza è la formale richiesta di indennizzo ex L. n. 210 del 1992, avanzata … solo nel marzo 2001. Solo da quel momento può, quindi, ritenersi che la S. abbia effettivamente acquisito consapevolezza circa la derivazione causale della malattia dalle trasfusioni effettuate nel lontano (OMISSIS)“
In tale ultimo caso, tra l’altro, la soccombenza ha comportato la condanna del Ministero della salute a pagare le spese del giudizio di legittimità, quantificate in 11.200,00 euro oltre accessori di legge.
Non pare superfluo sottolineare che in tutti e tre i casi i collegi erano presieduti dal Dott. Antonio Segreto e cioè da colui che ha materialmente redatto la motivazione della sentenza 581/08.
Ci auguriamo pertanto che, su questo punto, le prossime pronunce di legittimità, nonché quelle di merito, facciano corretta applicazione dei principi statuiti dalle sezioni unite.
Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari