Con sentenza n. 1592/2013 ha evidenziato, ancora una volta, la totale infondatezza della pretesa ministeriale di limitare la propria responsabilità risarcitoria ai soli contagi verificatisi dopo il 24 luglio 1978.
La Cassazione rileva, innanzi tutto, che, “come anche le Sezioni Unite … hanno avuto modo di affermare, il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine … alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati”, attività impostagli da una pluralità di fonti normative, “quali la legge 296 del 1958, la legge 592 del 1967, il D.P.R. n. 1256 del 1971, nonché numerosi decreti ministeriali”.
La Suprema Corte evidenzia, inoltre, come la giurisprudenza abbia dato ormai “diffusamente conto di come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni 60 – inizi anni 70 il rischio di trasmissione di epatite virale … e che già da tale epoca” il Ministero doveva impedire, per legge, “la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto”, obbligo di cui era ben consapevole lo stesso Ministero, che infatti “ha, con circolari n. 1188 del 30.6.1971, 17 febbraio e 15 settembre 1972, disposto la ricerca sistematica dell’antigene Australia … e con circolare n. 68 del 1978 ha poi reso obbligatoria la ricerca della presenza dell’antigene dell’epatite B in ogni singolo campione di sangue o plasma”.
La Corte osserva infine che, “nello specificare che il Ministero della salute risponde ‘anche per il contagio degli altri due virus’ già ‘a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B’, … le Sezioni Unite non hanno certamente inteso limitare la … responsabilità alla data di conoscenza” di tale specifica epatite, avendo al contrario esse sottolineato come il rischio di contrarre determinate patologie a seguito di trasfusione sia antico quanto la necessità delle trasfusioni stesse.
Escludere qualsiasi responsabilità del Ministero per contagi anteriori al 1978 costituirebbe, quindi, un’applicazione non corretta delle sentenze delle Sezioni Unite del 2008: il Ministero era infatti tenuto, anche prima di tale data, “a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione delle transaminasi, in adempimento di obblighi” già in vigore a metà anni ’60, essendo invece irrilevante che, all’epoca del contagio, “non era ancora stato isolato il virus dell’epatite C” ovvero che non fossero “conosciuti (e neppure elaborabili) i sistemi di prevenzione, e neppure … i test per il rilevamento del virus dell’epatite B”.
Alberto Cappellaro