Transazioni: commento alle prime sentenze del TAR


 

Pubblico qui di seguito l’articolo pubblicato da Sabrina Cestari sul proprio sito, nonché sui siti la previdenza.it, milanofinanza.it e italiaoggi.it, il cui contenuto sottoscrivo integralmente.

 

Alberto Cappellaro

 

 

Limitazioni ai moduli transattivi: la prescrizione può essere considerata criterio escludente, mentre il criterio dell’evento trasfusionale anteriore al 24/07/1978 è illegittimo

TAR Lazio Sezione Terza Quater sentenza 10.4.2013 – 4.6.2013 n. 07078 – Avvocato Sabrina Cestari

Diversi danneggiati avevano presentato ricorso collettivo avanti al TAR Lazio chiedendo, tra l’altro, l’annullamento del decreto del 4/5/2012 “definizione dei moduli transattivi in applicazione dell’art. 5 del decreto del Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze 28 aprile 2009 n. 132” emanato dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e pubblicato in G.U. 13.7.2012 n. 162.

Si ricorderà che le disposizioni contenute nell’art. 33, commi 1 e 2, del DL n. 159/2007 conv.to in L. n. 222/2007 e nell’art. 2, commi 361 e 362, della legge n. 244/2007, avevano autorizzato stanziamenti in bilancio per il 2007 e a decorrere dal 2008 per finanziare transazioni da parte dello Stato con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie che avessero instaurato giudizi risarcitori contro il Ministero della Salute anteriormente al 1.1.2008, rinviando ad un successivo decreto attuativo la definizione dei relativi criteri.

Tali criteri erano stati successivamente previsti nel D.M. n. 132 del 28.4.2009 (regolamento) e nel D.M. 4.5.2012 (c.d. decreto moduli).

I ricorrenti lamentavano, tra l’altro, l’introduzione/specificazione, proprio nel D.M. 4.5.2012 del criterio ostativo alla stipula delle transazioni rappresentato dalla prescrizione del diritto al risarcimento, diversamente ed in contraddizione con l’analoga precedente normativa del 2003 (DM 3.11.2003), rispetto alla quale, invece, il legislatore del 2007 aveva predicato, ai fini dei criteri transattivi da assumere nella normativa regolamentare attuativa, “analogia e coerenza”.

Nella sentenza qui commentata, in relazione al criterio della prescrizione, l’impugnativa è stata ritenuta, in primis, inammissibile, trattandosi, secondo il Tar, di previsione attuativa del precedente DM n. 132/2009, il cui art. 2 comma 2 aveva già stabilito che si sarebbe tenuto conto “dei principi generali in materia di decorrenza dei termini di prescrizione del diritto”.

Al contempo i giudici amministrativi hanno ribadito quanto già affermato dallo stesso Tar nella sentenza della Sezione III quater n. 5178/2012 (sentenza confermata dal CdS sez. III n. 2506/2013), sebbene con riferimento al DM del 2009, ovvero che  la prescrizione è istituto che, previsto o non previsto che sia dai decreti ministeriali, si impone già per suo conto, come istituto generale del codice civile, non potendo non valutare l’Amministrazione, in una logica transattiva qual è quella di componimento di vertenze risarcitorie in atto, se il diritto invocato e/o l’azione proposta siano o meno estinti per intervenuta prescrizione.

Tale assunto, anche in considerazione, sottolinea il Tar, degli attuali orientamenti della Corte di Cassazione per cui, in relazione alla responsabilità extracontrattuale per omessa vigilanza dell’amministrazione sanitaria, dopo una prima fase nella quale si era prospettata la possibilità di rinvenire nelle condotte omissive del Ministero gli estremi dei reati di epidemia colposa e/o di lesioni colpose plurime, più di recente la Cassazione ha escluso tali ipotesi, ravvisando singole lesioni colpose, con applicazione del termine di prescrizione quinquennale anziché quello decennale di cui all’art. 2947, co. 3 c.c. (Cass. SS.UU. 581/2008).

In sostanza secondo i giudici amministrativi, trattandosi, nella specie, di mera applicazione della legge, non si ravvisa alcuna censurabile disparità di trattamento rispetto ai destinatari della legge n. 141/2003 e del DM 3.11.2003, né violazione del principio di uguaglianza o di coerenza del sistema  o, infine, del principio di non discriminazione ex art. 14 CEDU, tutte censure avanzate dai ricorrenti.

Gli istanti in ricorso avevano contestato, tra l’altro, anche il comma 2 dell’art. 5 del D.M 4.5.2012 che così dispone: “In attuazione di quanto disposto dall’art. 3, comma 1, del regolamento, i moduli transattivi si applicano ai soggetti che abbiano presentato istanze per le quali risulti un evento trasfusionale – accertato da una sentenza o, in mancanza, nell’ordine, dal parere dell’ufficio medico legale, dal verbale della Commissione medica ospedaliera, dal parere emesso dall’ufficio medico legale ai soli fini transattivi – non anteriore al 24 luglio 1978, data di emanazione della circolare ministeriale n. 68 che rende obbligatoria la ricerca dell’antigene dell’epatite B nel sangue e negli emoderivati.”.

Tale censura è stata considerata dal Tar, al contrario di quella afferente al criterio della prescrizione, fondata.

In primis in quanto, in parte qua, il decreto del 4.5.2012, secondo i giudici amministrativi, è solo in apparenza attuativo del regolamento approvato con DM 28.4.2009 n. 132.

La fissazione dei criteri per la definizione delle transazioni di cui trattasi era stata, invero, demandata dalla legge al regolamento n. 132/2009, mentre ai sensi dell’art. 5 di quest’ultimo, il DM 4.5.2012 (di natura non regolamentare) avrebbe dovuto definire soltanto i moduli transattivi applicativi dei criteri ex art. 3 del regolamento.

Tuttavia, nello stesso è stato surrettiziamente introdotto un nuovo criterio di limitazione selettiva a danno dei soggetti per i quali l’evento trasfusionale sia anteriore al 24.7.1978.

Tale criterio, peraltro, non era stato previsto dal regolamento e la sua introduzione in sede di DM 4.5.2012 si pone in violazione del sistema di gerarchia delle fonti, in violazione del DM del 2009, nonché in violazione della stessa normativa primaria del 2007.

Deve essere precisato che la succitata data è stata stabilita dal Ministero sulla base della propria circolare n. 68 del 24.7.1978, circolare che ha reso obbligatoria la ricerca dell’antigene dell’epatite B nel sangue e negli emoderivati, presupponendo il Dicastero che, prima di allora non vi potesse essere responsabilità ministeriale per i danni da trasfusioni, tesi che continua ad essere sostenuta dall’Avvocatura anche nei giudizi risarcitori.

Orbene, il Tar, nella sentenza qui commentata, afferma chiaramente che la limitazione dell’accessibilità ai moduli transattivi ai soggetti trasfusi post 24.7.1978, appare non solo introdotta come già sottolineato in violazione del sistema di gerarchia delle fonti, ma, altresì, erronea in quanto contrastante con i recenti arresti della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto responsabile il Ministero della Salute anche per contagi verificatisi sin dagli anni “Sessanta” ossia sin dalla conoscenza dell’Epatite B, dovendo, quindi, rispondere il Dicastero di tali contagi pur se verificatisi in epoche precedenti a quelle della specifica individuazione dei test idonei ad isolare l’antigene dei vari virus HIV, HCV, HBV (cfr. sez. III n. 17685/2011).

Conseguentemente il Tar, ha dichiarato, in parte qua, illegittimo il DM 4.5.2012, dovendo lo stesso, nei limiti dell’interesse di coloro tra i ricorrenti pregiudicati dalla suddetta disposizione, essere annullato, mentre per il resto ha respinto il ricorso anche in riferimento alla richiesta risarcitoria (anche per danno da ritardo) avanzata dagli istanti.

La stessa sezione del Tar, con sentenze pubblicate in pari data (16/07/2013), ha deciso con argomentazioni pressoché identiche altri quattro ricorsi collettivi avanzati da danneggiati  al fine di conseguire l’annullamento dello stesso decreto ministeriale del 4/5/2012 (sentenze nn. 7073 – 7075 – 7076 – 7077 del 2013).

Si segnala a tal riguardo che le sentenze n. 07075/2013 e 07076/2013 hanno affrontato, tra l’altro, un ulteriore aspetto della vicenda de qua, ovvero il fatto che il Ministero quando agisce, costituendosi parte civile, all’interno di processi penali, ove vengono processati suoi ex funzionari per crimini di epidemia oppure di omicidio colposo plurimo aggravato, lo fa riconoscendo tali reati, comportamento, che secondo i ricorrenti, denoterebbe censurabile contraddittorietà rispetto all’indirizzo seguito dallo stesso Dicastero in relazione ai termini prescrizionali in sede civile e amministrativa.

Il Tar ha respinto tale censura ritenendo che il comportamento del Ministero sia riconducibile a un mero atto difensivo da valutarsi nell’ambito della singola strategia processuale o condotta difensiva in giudizi caratterizzati da loro proprie specificità.

Invero, secondo i giudici amministrativi, l’indirizzo seguito dal Ministero nel decreto moduli appare rispondente all’indirizzo più recente ed ormai consolidato della Corte di Cassazione, con riferimento ai termini di prescrizione per il diritto al risarcimento del danno riferito alla responsabilità del Dicastero della Salute per trasfusioni di sangue infetto (cfr. tra le altre, Cass. III, n. 7553/2012).

Per altro, il rilievo del recepito indirizzo giurisprudenziale costituisce, secondo il Tar, elemento di novità rispetto alle situazioni disciplinate dalla precedente normativa in tema di transazioni per danni da sangue infetto, con inconferenza, quindi, dell’assunto dei ricorrenti di “sovrapponibilità” totale ed assoluta delle posizioni prese in considerazione, sebbene pur sempre a fini transattivi, nelle diverse epoche.

Vorrei aggiungere alla presente nota poche considerazioni evidenziando luci ed ombre in relazione alla sentenza qui commentata, che contiene principi destinati ad incidere direttamente ed indirettamente sulle posizioni di migliaia di danneggiati.

L’introduzione nel decreto moduli, la cui natura doveva essere meramente attuativa, di un nuovo criterio di limitazione selettiva a danno dei soggetti per i quali l’evento trasfusionale sia anteriore al 24.7.1978, è stata giustamente censurata dal Tar sotto due aspetti, quello della violazione del sistema di gerarchia delle fonti e quello rappresentato dalla giurisprudenza consolidata in tema di sangue infetto, che riconosce responsabile il Ministero della Salute per contagi verificatisi sin dagli anni sessanta.

Il fatto che la pubblica amministrazione, nell’emanare un regolamento ed un successivo decreto attuativo, abbia margini di discrezionalità, anche ampi, non è contestabile, tuttavia, la discrezionalità configurata dal Tar nelle sentenze qui commentate relative al decreto moduli, così come nella precedente pronuncia dello stesso Tar Lazio (n. 5178/2012, confermata, per altro, dal CdS sez. III n. 2506/2013), con la quale era stata valutata la legittimità del decreto n. 132/2009 (Regolamento), lascia seriamente perplessi in relazione all’applicazione della prescrizione, utilizzata quale presupposto stesso di ammissione alla transazione, fatto che, nel concreto, sta determinando l’esclusione della quasi totalità degli aventi diritto alle transazioni, fatto che sta vanificando l’intento stesso perseguito dal Legislatore con l’emanazione delle leggi istitutive delle transazioni.

Invero, ricostruendo attentamente la normativa di settore ed in particolare la ratio delle norme istitutive delle transazioni, norme redatte dopo anni di trattative tra Istituzioni, Associazioni dei danneggiati e Legali di riferimento delle stesse, il fine di quelle disposizioni era e rimane quello di risarcire il maggior numero possibile degli aventi diritto.

La considerazione che la giurisprudenza in tema di prescrizione ed in particolare di dies a quo in materia di danni da sangue infetto, abbia subito mutamenti, anche radicali, nel corso degli anni ed il fatto di dover tener conto dei principi generali in materia di decorrenza dei termini di prescrizione del diritto, come statuito nelle suddette sentenze, non significa, nell’ambito di una procedura transattiva come quella relativa al caso di specie, procedura riconosciuta dallo stesso Tar ispirata ad una “logica certamente anche solidaristica”, utilizzare la prescrizione quale criterio discriminante di inclusione o esclusione dalla transazione stessa.

Ho già scritto a tal riguardo in due precedenti commenti e lo ribadisco in questa sede, che la Corte costituzionale ha chiarito da anni che nessun diritto fondamentale, quale è quello alla salute, può essere compresso o inciso al punto tale che ne sia pregiudicato o anche solo messo a rischio lo stesso contenuto.

Invero, esiste nel nostro Ordinamento un limite inferiore al di sotto del quale la gestione amministrativa dei diritti non può scendere e se lo stesso Legislatore deve, nell’ambito della propria discrezionalità, rispettare il limite al di sotto del quale viene compromessa l’esistenza stessa del diritto, a fortiori lo stesso limite deve essere rispettato dalla Pubblica Amministrazione, che dovrebbe tener conto, altresì, nel caso di specie, non solo della ratio della legge istitutiva delle transazioni, ma anche dei principi fondamentali del nostro Ordinamento e di quello internazionale, con particolare riguardo al principio del rispetto per la dignità della vita.

 

Avvocato Sabrina Cestari