Come è noto, con alcune pronunce depositate all’inizio dell’anno la Suprema Corte aveva posto in dubbio che il Ministero della salute potesse essere ritenuto responsabile per contagi anteriori al 1978.
Pronunce che si ponevano in radicale contrasto con l’orientamento, da tempo consolidato, secondo il quale “nello specificare che il Ministero della salute risponde ‘anche per il contagio degli altri due virus già ‘a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B’, … le Sezioni Unite non hanno certamente inteso limitare la rilevanza del fenomeno e la relativa responsabilità alla ‘data di conoscenza dell’epatite B”, dovendo invece l’Amministrazione “controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione delle transaminasi” anche prima del 1978 (così Cass. 26152/2014, relativa a trasfusioni del 1977 e 1978).
Una parte di queste sentenze, tra l’altro, non aveva escluso in toto la responsabilità del Ministero per contagi anteriori al 1978 ma, più semplicemente, riformato pronunce di appello che la riconoscevano, ritenendole non adeguatamente motivate.
Così ad esempio per la sentenza n. 821/2015 i giudici di secondo grado non avevano accertato se nel 1972/73 “fosse noto, quantomeno, il ceppo dell’epatite B, dovendo, in mancanza, escludersi la regolarità causale e, quindi, il nesso causale” tra comportamento del Ministero e contagio.
Ancora, la sentenza n. 823/2015 aveva riformato una condanna per trasfusioni del 1972 e 1976 perché “la sentenza impugnata … colloca agli inizi degli anni Settanta la possibilità dell’adozione di misure precauzionali atte ad evitare il contagio, senza – però – fornire elementi che valgano a riscontrare specificamente tali affermazioni nei risultati acquisiti nelle sedi scientifiche ufficiali internazionali“.
Peraltro, in quello stesso periodo altre pronunce avevano confermato l’orientamento consolidato sopra citato, come ad esempio Cass. n. 1131/2015, relativa a trasfusioni del 1974, nonché Cass. 6746/2015, che ribadiva come, “per giurisprudenza del tutto consolidata di questa Corte di legittimità … sussisteva a carico del Ministero della sanità (oggi Ministero della salute), anche prima dell’entrata in vigore della L. 4 maggio 1990, n. 107, un obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico … sicché … la responsabilità può agevolmente ricavarsi nell’omissione, da parte del Ministero, dei controlli, consentiti dalle conoscenze mediche e dei più datati parametri scientifici del tempo, sull’idoneità del sangue ad essere oggetto di trasfusione …, in epoca anche anteriore alla più risalente delle scoperte dei mezzi di prevenibilità delle relative infezioni, individuabile nel 1978”.
Un principio confermato in tre recentissime pronunce, depositate il 9 aprile 2015, con le quali la Corte ha annullato tre pronunce di secondo grado che avevano negato la configurabilità di una responsabilità del Ministero della salute per contagi verificatisi nel 1971 (sent. n. 7126/2015), nel 1970 (sent. 7129/2015) e nel 1967 (sent. 7127/2015).
In particolare, quest’ultima decisione si segnala per aver testualmente affermato che i giudici di appello avevano errato nel rigettare la domanda risarcitoria senza prima aver accertato “se la condotta richiesta alla P.A. preposta alla vigilanza sulle emotrasfusioni potesse considerarsi negligente in relazione anche solo alle conoscenze dell’epoca”.
Alberto Cappellaro