Transazioni: le impugnazioni devono essere proposte avanti al giudice amministrativo


  

Con ordinanza n. 2050/16, pubblicata il 3 febbraio 2016, le Sezioni Unite civili della Cassazione hanno deciso in ordine al regolamento preventivo di giurisdizione che era stato proposto nell’ambito di un giudizio pendente presso il TAR di Roma contro il Ministero della Salute.

Le Sezioni Unite hanno così chiarito quale sia il giudice al quale i danneggiati possono e potranno rivolgersi per contestare la legittimità di un provvedimento di esclusione dalle transazioni e/o l’illegittimità delle norme sulla base delle quali tale provvedimento è stato adottato.

Le impugnazioni avverso il decreto moduli, ovvero il provvedimento che nel 2012 ha introdotto i c.d. “paletti” di accesso alle transazioni (decreto ministeriale 4 maggio 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 13-7-2012 “Definizione dei moduli transattivi in applicazione dell’articolo 5 del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze 28 aprile 2009, n. 132”), nonché quelle contro i provvedimenti di esclusione dalle transazioni medesime, devono essere proposte, in base all’ordinanza delle Sezioni Unite, avanti al giudice amministrativo, in quanto, a parere delle stesse, la disciplina sulla base della quale il Ministero della salute si è “dato le regole” sulle transazioni non incide in maniera diretta sul diritto al risarcimento dei danneggiati, i quali rimangono liberi di accettare o meno l’eventuale proposta formulata dall’Amministrazione, che a sua volta potrà decidere se concludere o meno l’atto transattivo.

Quelle che seguono sono le ragioni per le quali la Cassazione ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo.

Occorre premettere che, con le sentenze nn. 1501, 1502, 1503, 1504, 1505 e 1506, tutte depositate il 28 marzo 2014, il Consiglio di Stato aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, annullando le sentenze con le quali il TAR Lazio – Roma, nel 2013, aveva sancito la parziale illegittimità del  decreto moduli mutando così, sorprendentemente, il precedente orientamento in materia ed affermando la sussistenza della giurisdizione ordinaria, sussistenza che era stata poi confermata anche dalle pronunce successive.

L’ordinanza qui commentata per giungere alla soluzione della questione di giurisdizione analizza il significato degli interventi legislativi e di normazione secondaria che si sono succeduti nella materia, invero, secondo le Sezioni Unite, al fine di poter determinare la giurisdizione, è necessaria l’individuazione dell’atteggiarsi della natura della situazione giuridica dei privati interessati dalla disciplina introdotta.

Gli interventi del Legislatore, secondo la Cassazione, si sono sempre caratterizzati per la ripetizione di disposti sostanzialmente di tenore analogo al primo, mentre la normazione secondaria non ha assunto un significato diverso ai fini dell’individuazione della giurisdizione sul possibile contenzioso, per questo l’analisi delle Sezioni Unite parte proprio dal primo intervento legislativo, ovvero dall’art. 3 del d.l. n. 89/2003, convertito con modificazioni nella legge n. 141/2003.

La situazione giuridica soggettiva presa in considerazione dalla Cassazione è, quindi, quella di soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni pendenti (all’epoca della pubblicazione delle relative norme prese a riferimento), soggetti in relazione ai quali è stato previsto dal Legislatore un agire della Pubblica Amministrazione ed è proprio il contenuto di tale “agire” descritto dal Legislatore, che viene assunto come valore decisivo dalle Sezioni Unite per poter decidere se la posizione di diritto soggettivo del privato si conservi tale oppure si atteggi in modo diverso, con le inevitabili conseguenze in ordine alla giurisdizione in caso di controversia.

La Cassazione nell’ordinanza giunge alla conclusione che il disposto normativo in materia non presenta alcun contenuto di diretta incidenza sulla situazione giuridica di diritto soggettivo del privato, dedotta e pendente in giudizio dinanzi al giudice ordinario contro il Ministero della salute.

Invero, a parere delle Sezioni Unite, l’espressione “transazioni da stipulare” utilizzata dal Legislatore si tradurrebbe in una previsione implicitamente impositiva di un comportamento extraprocessuale dell’Amministrazione, costituito dal dovere di ricercare e coltivare la possibilità di pervenire ad una transazione riguardo ai giudizi pendenti. Ne consegue che la situazione giuridica del privato, che aveva la causa pendente, risulta assunta esclusivamente come punto di riferimento di un agire imposto all’Amministrazione, senza conseguenze dirette sul processo e sull’azione in esso esercitata dal danneggiato a tutela del proprio diritto soggettivo risarcitorio.

Sempre in ordine alla disposizione di cui alla legge n. 141/2003 le Sezioni Unite evidenziano, altresì, che la stessa prevede l’emanazione di una disciplina regolamentare diretta a fissare i criteri in base ai quali devono essere definite le transazioni, imponendo così all’Amministrazione di “darsi delle regole” per perseguire il compito affidatole.

La normazione regolamentare doveva stabilire, quindi, le caratteristiche soggettive ed oggettive che le controversie pendenti dovevano presentare affinché l’Amministrazione dovesse, in relazione ad esse, attivarsi nella ricerca della loro possibile definizione transattiva.

Per procedere, invece, alla formazione del consenso sulla transazione, stante l’assoluto silenzio della legge al riguardo, le Sezioni Unite evidenziano che si deve necessariamente ricorrere ai meccanismi propri del diritto privato. Pertanto, la concreta formulazione della proposta di stipulazione di un negozio transattivo da parte della Pubblica Amministrazione e la sua conclusione restano escluse dal potere regolamentare della stessa, nel senso che l’autoregolamentazione da parte dell’Amministrazione non può svolgere alcuno degli effetti propri degli istituti di diritto privato relativi alla conclusione del contratto.

Anche in questo caso, quindi, secondo le Sezioni Unite, è esclusa una interferenza diretta sul diritto soggettivo oggetto dei giudizi, conseguentemente l’insorgenza di una contesa tra il privato e l’Amministrazione, in ordine al modo in cui la stessa eserciti il potere regolamentare, non può riguardare il diritto soggettivo ed essere attratta alla giurisdizione del giudice ordinario.

L’agire dell’Amministrazione, in quanto diretto a consentire una definizione transattiva della vicenda giudiziale ha, secondo le Sezioni Unite, rilievo indiretto e pertanto “interessa” il privato nella prospettiva della convenienza di “una qualche soddisfazione del diritto soggettivo risarcitorio in una certa misura ed in via più breve rispetto alla durata del processo, senza di esso correrne l’alea”.

Tale interferenza ed il correlato interesse pongono in relazione i soggetti, che avevano giudizi pendenti, con il potere normativo regolamentare ed il successo agire dell’Amministrazione. La relazione così delineata tra soggetto privato ed Amministrazione si profila come interesse del privato a che l’Amministrazione in primis eserciti il potere regolamentare previsto dal Legislatore, e poi si attivi nel perseguire la transazione, osservando le previsioni del regolamento dalla stessa emanato.

Tale duplice interesse, dal punto di vista della natura della situazione giuridica riferibile al privato, deve essere qualificato e lo stabilire tale qualifica ovvero la natura di tale interesse e, quindi, se nel caso di specie si tratti di interesse legittimo o di interesse semplice, compete non alla Cassazione bensì al giudice amministrativo nell’esercizio della sua giurisdizione. Si evidenzia che tale qualificazione è di particolare rilievo, invero, l’interesse semplice non dà luogo a tutela giurisdizionale, mentre l’interesse legittimo, nel nostro Ordinamento, è meritevole di tale tutela.

Le Sezioni Unite precisano ancora che, sia l’intervento legislativo successivo a quello del 2003, ovvero l’art. 33 del d.l. n.159/2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 222/2007, che la successiva disposizione di cui all’art. 2 commi 362 e 363 della legge n. 244/2007, hanno un tenore sostanzialmente identico a quello della norma del 2003, sia con riferimento alla disciplina che con riferimento al significato del conferimento del potere regolamentare, questo giustifica le stesse considerazioni già svolte. Peraltro, il caso di specie dal quale origina la vicenda che ha occasionato la pronuncia delle Sezioni Unite si iscrive proprio a quelli soggetti alle disposizioni legislative del 2007.

Alle norme del 2007 sono seguiti poi il d.m. n. 132/2009, la Circolare del 20 ottobre 2009 n. 28 ed il decreto di regolazione dei moduli transattivi del 2012 (c.d. moduli), orbene, secondo le Sezioni Unite, il primo si connota come atto di normazione secondaria, mentre gli altri due, non rivestenti tale natura, come atti certamente interferenti in via indiretta rispetto all’interesse dei soggetti privati aventi giudizi pendenti contemplati dalle fonti legislative del 2007.

Infine, evidenziano le Sezioni Unite che anche l’ultimo intervento normativo in materia, ovvero l’art. 27 bis del d.l. n. 90 del 2014 convertito con modificazioni dalla legge n. 114/2014, non ha contenuti che incidano diversamente in ordine alla questione di giurisdizione.

E’ stato pertanto chiarito, si spera definitivamente, quale sia il giudice al quale ci si deve rivolgere per contestare la legittimità di un provvedimento di esclusione dalle transazioni e/o l’illegittimità delle norme sulla base delle quali tale provvedimento è stato adottato.

Ciascun danneggiato dovrà, pertanto, valutare attentamente, anche alla luce dell’ordinanza delle Sezioni Unite, attraverso l’ausilio del proprio Legale, la singola situazione personale e processuale, al fine di decidere se accettare l’eventuale somma offerta dal Ministero della Salute a titolo di equa riparazione o se invece proseguire il giudizio risarcitorio in sede civile, sempre che lo stesso sia ancora pendente, ovvero insistere, nel caso si posseggano i requisiti richiesti o gli stessi possano esser fondatamente riconosciuti avanti al giudice amministrativo, per l’ammissione alle transazioni.

Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari