Con sentenza n. 3261/2016 la terza sezione civile della Corte di cassazione ha chiarito quando una struttura ospedaliera possa essere chiamata a rispondere per un contagio post-trasfusionale.
La Corte ha innanzi tutto confermato che i sanitari appartenenti alla struttura devono, prima di procedere al trattamento, effettuare tutti i test e i controlli prescritti dalle leggi all’epoca vigenti.
La Corte si è chiesta altresì “se la casa di cura, che ha utilizzato sacche di sangue … provenienti dal servizio di immunoematologia trasfusionale della USL competente, ivi sottoposte ai controlli preventivi richiesti dalla normativa all’epoca (1989) vigente”, debba effettuare anche i “controlli ulteriori conosciuti al più alto livello scientifico mondiale e non ancora obbligatori sulla base della normativa vigente”.
Secondo la Cassazione a questo quesito deve essere data risposta negativa, la mancata esecuzione di questi ulteriori controlli può rilevare solo per configurare una responsabilità del Ministero della salute, solo all’Amministrazione infatti, “che ha come missione istituzionale la tutela della salute pubblica, è causalmente imputabile la mancata predisposizione di tutto quanto occorra a rendere concrete le misure di prevenzione che siano note a livello mondiale: innanzitutto, acquisendone repentinamente la conoscenza; poi, assicurando, con interventi normativi implicanti scelte di spesa pubblica e con direttive, sia la concreta attuazione mediante misure di organizzazione e funzionamento dei servizi, sia la vigilanza e il controllo per garantire il raggiungimento dello scopo per il quale il potere è attribuito al Ministero dall’ordinamento”.
L’obbligo imposto alla casa di cura, invece, sia essa pubblica o privata, consiste esclusivamente “nel rispetto degli obblighi normativamente posti in materia di trasfusioni (e di utilizzo di emoderivati) al tempo dell’intervento, volti a garantire la tracciabilità e la prevenzione per scongiurare la trasmissione di virus” mentre “non può ritenersi che tra la diligenza richiesta nello svolgimento dell’attività rientri il dovere di conoscere, e di attuare, le misure di prevenzione attestate dalla più alta scienza medica a livello mondiate per scongiurare la trasmissione di virus”, a meno che la struttura “non provveda direttamente con un autonomo centro trasfusionale”.
Alberto Cappellaro