Con sentenze n. 15894/05 e n. 18109/07, pronunce alle quali si erano adeguati pressoché tutti i giudici di merito, la Corte di cassazione aveva stabilito che l’indennizzo deve essere annualmente rivalutato per intero (sulla base del tasso di inflazione programmata), inclusa la quota determinata con riferimento all’indennità integrativa speciale (quota che è pari a 6.171,96 euro annui).
Disattendendo questo principio ormai consolidato, con sentenza n. 21703/09 la Suprema Corte ha affermato che andrebbe rivalutata la sola quota di indennizzo determinata sulla base della tabella B allegata alla legge 177/76, come modificata dalla legge 111/84: quota che costituisce circa il 10% dell’importo annualmente liquidato ai danneggiati.
Secondo la Corte questa tesi troverebbe anzitutto conferma nella lettera dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge 210/92.
Una tesi discutibile, vista la lettera della norma qui commentata.
A sostegno del proprio mutamento di indirizzo, la Cassazione aggiunge due ulteriori considerazioni:
a) innanzi tutto che l’indennità integrativa speciale servirebbe “ad impedire o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria onde è ragionevole che il legislatore non ne abbia previsto la rivalutazione”;
b) inoltre che “l’art. 32 Cost. garantisce la tutela della salute ma non impone scelte quantitative al legislatore, salvo il principio di equità … degli indennizzi”.
Queste affermazioni vengono smentite dal solo esame degli importi annui liquidati ai danneggiati (si veda in proposito la tabella indennizzo 2009 senza rivalutazione I.I.S., pubblicata nella sezione materiali di questo sito).
L’indennizzo viene rivalutato (in parte) a decorrere dal 1995.
Prendendo come esempio l’ottava categoria, si vede che l’importo annuo liquidato nel 1995 era pari a 6.506,37 euro, mentre quello del 2009 è di 6.602,40 euro.
Secondo la Suprema Corte, quindi:
a) un importo di 96,03 euro, liquidato su un lasso temporale di 15 anni, sarebbe sufficiente ad “impedire o attenuare gli effetti della svalutazione monetaria”;
b) sarebbe equo un indennizzo che in quindici anni è aumentato di 96,03 euro.
Ogni ulteriore commento mi pare superfluo.
Questa nuova tesi della Corte di cassazione mi pare assai poco convincente e fondata su argomentazioni giuridiche alquanto discutibili e mi auguro pertanto che i giudici di merito non ne tengano conto, continuando a riconoscere la rivalutazione sull’intero indennizzo.
E’ certo però che le cause in cui si chiede la rivalutazione sono in questo momento molto più incerte.
La questione verrà quasi certamente risolta, in un senso o nell’altro, da un intervento delle sezioni unite: nell’attesa, mi pare opportuno inviare agli enti competenti (per maggiore sicurezza, non solo il Ministero della salute, ma anche la Regione e la ASL di appartenenza) una raccomandata con la quale chiedere la rivalutazione integrale dell’indennizzo, al fine di interrompere la prescrizione (prescrizione, lo ricordo, che è decennale e che decorre dalla scadenza di ogni singolo rateo).
Coloro che fossero già in causa non devono invece far passare in giudicato l’eventuale sentenza che negasse la rivalutazione.
La nuova pronuncia della Corte non ha infine alcun effetto su coloro che hanno ottenuto il riconoscimento del diritto alla rivalutazione integrale dell’indennizzo con una sentenza già passata in giudicato.
Alberto Cappellaro