L’articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, dispone che “nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti … Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale“.
Tale norma è pertanto applicabile all’esame tanto delle domande di ammissione alle transazioni disciplinate dalla legge n. 244/2007 e dai successivi provvedimenti attuativi, quanto delle istanze di riconoscimento dell’equa riparazione introdotta con l’art. 27 bis del decreto legge n. 90/2014, convertito con legge n. 114 dell’11 agosto 2014.
Ne consegue che il Ministero della salute, qualora intenda respingere una delle predette istanze, deve prima comunicare al richiedente i motivi che giustificherebbero il predetto provvedimento, consentendogli altresì di presentare osservazioni e documenti a sua difesa.
Con sentenza n. 4545 del 28 ottobre 2016, resa in altra fattispecie, il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, ha stabilito che la norma sopra citata “mira ad ‘instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la p.a. ed il cittadino’ al fine sia di ‘aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira’ (Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4828) sia di acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2452), consentendo una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire. La prescritta partecipazione svolge, pertanto, una funzione difensiva e collaborativa. L’osservanza degli obblighi posti dall’art. 10-bis potrebbe assolvere anche ad una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento. Se, infatti, non si rende edotto il privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere, in ambito procedimentale, il suo ‘punto di vista’, si costringe l’interessato a proporre ricorso giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede amministrativa“.
I giudici amministrativi hanno altresì evidenziato che “la violazione di tale obbligo non comporta annullamento dell’atto finale nel solo caso in cui, in presenza di attività vincolata, l’amministrazione dimostra che il provvedimento non avrebbe potuto avere altro contenuto“.
Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari