Con sentenza n. 4309/19, depositata il 14 febbraio 2019, la Cassazione è intervenuta nuovamente in tema di configurabilità della compensatio lucri cum damno tra somme percepite a titolo di indennità, ai sensi della legge 210/1992 e quelle richieste a titolo di risarcimento del danno.
La Suprema Corte ha ricordato che il tema della compensatio è stato recentemente affrontato dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 12564, 12565, 12566 e 12567 del 22 maggio 2018.
Nel caso di specie, afferma la Cassazione, si tratta di verificare se, ed in quali termini, l’istituto della compensatio risulti applicabile ove sia accertata una responsabilità risarcitoria di un’azienda sanitaria locale e, in generale, di una struttura del S.S.N., alla luce della pregressa giurisprudenza di legittimità e delle più recenti pronunce delle Sezioni Unite.
Secondo la Suprema Corte in particolare deve verificarsi se e come incidano nella materia i principi espressi dalle Sezioni Unite “secondo cui, ai fini dell’operatività della compensatio, debbono ricorrere un collegamento funzionale tra la causa dell’attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria (nel senso che entrambe siano volte a rimuovere il pregiudizio derivante dall’illecito) e, al contempo, la previsione di un meccanismo di surroga o di rivalsa volto ad evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l’autore dell’illecito, così individuandosi un punto di equilibrio fra l’esigenza di evitare una indebita locupletazione del danneggiato mediante il cumulo del risarcimento e delle provvidenze indennitarie e quella di impedire che la compensatio finisca per “premiare” ingiustificatamente l’autore dell’illecito; al riguardo, si è precisato che “non corrisponde infatti al principio di razionalità-equità (…) che la sottrazione del vantaggio sia consentita in tutte quelle vicende in cui l’elisione del danno con il beneficio pubblico o privato corrisposto al danneggiato a seguito del fatto illecito finisca per avvantaggiare esclusivamente il danneggiante, apparendo preferibile in tali evenienze favorire chi senza colpa ha subito l’illecito rispetto a chi colpevolmente lo ha causato”.
Orbene, nell’ipotesi di infezione conseguente ad emotrasfusioni o ad utilizzo di emoderivati occorre considerare che l’erogazione dell’indennizzo, originariamente gravante sul Ministero della Salute, è stata successivamente demandata alle Regioni per effetto del D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 114 e dei successivi decreti attuativi (D.P.C.M. 26 maggio 2000, D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e D.P.C.M. 24 luglio 2003), Regioni che a tal fine godono (e dispongono in via autonoma) di risorse provenienti dal bilancio statale e che risultano, conseguentemente, obbligate all’erogazione della prestazione indennitaria.
Le Regioni, in particolare, operano nell’ambito delle funzioni di tutela pubblica della salute che sono proprie del Servizio Sanitario Nazionale, di cui costituiscono articolazioni anche le aziende sanitarie locali, alimentate in massima parte con finanziamenti che, dallo Stato, vengono trasferiti in parte alle Regioni stesse. Regioni e Aziende sanitarie locali presentano quindi comunanza di finalità, convergenza di attività e una commistione di risorse finanziarie che consentono di individuare sul piano sostanziale, secondo la Suprema Corte, un’unica “parte pubblica”, pur variamente articolata sul piano delle strutture e delle soggettività giuridiche, chiamata ad erogare a chi sia stato danneggiato da emotrasfusioni tanto l’indennizzo quanto l’eventuale risarcimento del danno.
Per questi motivi secondo la Cassazione non esiste nel caso di specie una situazione di alterità fra danneggiante e soggetto erogante la provvidenza assistenziale tale da richiedere, per consentire l’applicazione dello scomputo, la presenza di un meccanismo di surroga o rivalsa volto a neutralizzare un indebito vantaggio in favore del responsabile del danno.
Secondo la Suprema Corte non avrebbe rilievo quindi la circostanza che la L. n. 210 del 1992 non preveda un meccanismo che consenta a chi eroga l’indennizzo di rivalersi sul danneggiante, giacchè un siffatto meccanismo non avrebbe ragion d’essere quando il soggetto danneggiante condivida finalità, attività e risorse finanziarie con il soggetto che eroga la provvidenza.
Per questo la Cassazione ha concluso che la compensatio deve trovare applicazione, al fine di impedire un ingiustificato arricchimento per il danneggiato, anche nel caso in cui il danno conseguente a emotrasfusioni o alla somministrazione di emoderivati sia imputabile ad un’azienda sanitaria locale.
Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari