Con sentenza n. 7025/2019 la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio in materia di interpretazione del testamento.
La causa verteva su una disposizione con la quale la testatrice aveva legato ad una Arcidiocesi alcuni immobili “a fini di culto e di religione”, disposizione che i giudici di appello avevano interpretato facendo ricorso ad una ulteriore missiva, dattiloscritta, con la quale la testatrice aveva disposto la destinazione dell’appartamento padronale, dove ella aveva sempre abitato, “ad alloggio dei preti poveri …, sacerdoti per il cui sostentamento dovevano essere adoperati i ricavi delle locazioni degli altri quartini oggetto del medesimo legato“.
La Corte ha reputato questa interpretazione non conforme a diritto.
I giudici di legittimità hanno innanzi tutto ricordato che l’interpretazione del testamento si caratterizza, rispetto a quella contrattuale, per “una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, e non di ciascuna singola disposizione, e che al fine di superare eventuali dubbi sull’effettivo significato di parole ed espressioni usate dal testatore deve farsi riferimento anche ad elementi estrinseci alla scheda stessa, come la cultura, la mentalità, le abitudini espressive e l’ambiente di vita del testatore medesimo, di modo che il giudice del merito, il cui accertamento è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, nella doverosa ricerca di detta volontà, può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purché non contrastante e antitetico, e si prestino ad esprimere in modo più adeguato e coerente la reale intenzione del de cuius”.
La Corte ha però ricordato che il ricorso ai predetti criteri ermeneutici non può spingersi sino “ad integrare, sulla base dei suddetti elementi valutativi, ab extrinseco tale volontà, attribuendo ad essa contenuti inespressi ovvero diversi da quelli risultanti dalla dichiarazione stessa”.
La Cassazione ha concluso quindi che la Corte territoriale non si si era attenuta ai principi citati “dal momento che, pur svolgendo le sue considerazioni su un terreno apparentemente interpretativo, ha nel concreto utilizzato la missiva scritta dalla testatrice nel 1943 non già per chiarire cosa ella intendesse con la dicitura “a fini di culto e di religione” apposta al legato, ma per attribuire ad essa un contenuto particolare e specifico, vale a dire che l’appartamento da lei abitato doveva essere destinato ad ospitare preti poveri e il reddito degli altri beni fosse destinato al loro sostentamento. Il risultato dell’interpretazione è così consistito in un’operazione diretta non già a ricostruire la volontà della testatrice come espressa nel testamento, ma ad integrarla, attribuendole un significato non certo in antitesi ma comunque nuovo rispetto ad esso, dal momento che non vi era espresso”.
La Corte ha altresì aggiunto che “l’operazione di integrazione della volontà della testatrice in forza della lettera del 1943 risultava preclusa dalla natura e caratteristiche di tale missiva, che pacificamente era dattiloscritta e quindi non olografa, sicché essa non aveva i requisiti di forma per potere avere un’efficacia integrativa del testamento”.
La sentenza di secondo grado è stata quindi cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, che dovrà adeguarsi “al seguente principio di diritto: nell’interpretazione del testamento deve aversi riguardo alla volontà espressa da testatore nella scheda testamentaria, potendosi ricorrere ad elementi estrinseci solo per risolvere parole o espressioni dubbie al solo scopo di ricostruire l’effettiva intenzione del suo autore, mentre rimane precluso all’interprete avvalersi di tali dati estrinseci per giungere al risultato di attribuire alla disposizione testamentaria un contenuto nuovo, in quanto non espresso nel testamento”.
Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari