Risarcimento: il Tribunale di Reggio Calabria liquida 753 mila euro ai familiari di una danneggiata deceduta per sangue infetto


Con ordinanza pubblicata il  22 marzo 2023 all’esito di un procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis del codice di procedura civile (rito oggi abolito in seguito all’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia), pronuncia relativa ad un caso seguito dallo Studio e passata in giudicato, il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato il Ministero della Salute a corrispondere ai familiari di una danneggiata, deceduta nel 2009 per le complicanze dell’epatite C, la complessiva somma di 753.760,00 euro, oltre interessi legali dal deposito del provvedimento al saldo.

Il Tribunale ha innanzi tutto evidenziato come l’Amministrazione sia responsabile per il contagio della parente dei ricorrenti, avvenuto nel 1980, e il suo successivo decesso.

Il giudice osserva in proposito come la Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, abbia reiteratamente affermato che il Ministero della Salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine (anche) alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, e risponde ex art. 2043 c.c., per omessa vigilanza, dei danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi, obblighi che derivano da una pluralità di fonti normative, le quali attribuiscono al Ministero attivi poteri di vigilanza nella preparazione ed utilizzazione di emoderivati e di controllo in ordine alla relativa sicurezza.

Il Tribunale, altresì, ha rilevato come la giurisprudenza, anche di merito, abbia da tempo dato diffusamente conto di come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni ‘60 il rischio di trasmissione di epatite virale. Invero, sin dalla metà degli anni ‘60 erano infatti esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT indicatori della funzionalità epatica fossero alterati rispetto ai limiti prescritti (Cass., 20/4/2010, n. 9315) e che la variazione dei valori ALT fosse indicativa di una infezione epatica, tanto che nel 1966 il Ministero della Salute raccomandava la determinazione di ALT transaminasi ribadendo tali indicazioni nella circolare del 9 giugno 1970 n. 95. Con successive circolari n. 1188 del 30.6.1971, 17 febbraio e 15 settembre 1972 il Ministero ha disposto la ricerca sistematica dell’antigene Australia (cui fu dato poi il nome di antigene di superficie del virus dell’epatite B); e con circolare n. 68 del 1978 ha poi reso obbligatoria la ricerca della presenza dell’antigene dell’epatite B in ogni singolo campione di sangue o plasma.

Conseguentemente, l’incauta somministrazione del sangue, conseguente all’assenza dei controlli previsti dalla legge sulle sacche trasfuse, integra l’elemento soggettivo dell’illecito sulla base “del dovere di adoperarsi per evitare o ridurre un rischio che è antico quanto la necessità della trasfusione” (da ultimo, cfr. Cass. 31 gennaio 2019, n. 2790).

Nel caso di specie, l’Amministrazione non aveva dimostrato che tali controlli fossero stati effettuati.

Il Tribunale ha quindi riconosciuto l’esistenza del nesso causale tra le trasfusioni subite dalla danneggiata ed il suo successivo decesso, recependo le conclusioni della perizia medica espletata.

In particolare, il giudice ha confermato come non erano stati riscontrati altri ragionevoli fattori eziologici della patologia, alternativi a quello integrato dalle trasfusioni del 1980 e, altresì, come il decesso della danneggiata fosse stato provocato da cirrosi epatica HCV-correlata complicata da HCC in data 12.09.2009 conseguente all’infezione da HCV.

Infine, il Tribunale non ha scomputato, dal risarcimento liquidato, quanto corrisposto agli eredi a titolo di assegno una tantum previsto dall’art. 1, co. 3, l. 238/1997, atteso il difetto di prova in ordine alla effettiva percezione dell’assegno e al relativo importo.

Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari