Come avevamo anticipato in un precedente articolo pubblicato sui nostri siti, con sentenza n. 19129/2023 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno escluso che possa attribuirsi valore di prova legale al verbale emesso dalle Commissioni Militari Ospedaliere (C.M.O.) nel procedimento amministrativo ex lege 210/1992, qualora tale verbale riconosca l’esistenza del nesso causale tra la trasfusione e il contagio.
Il giudice di merito non è pertanto vincolato dall’esito dell’accertamento effettuato dalla C.M.O..
Le Sezioni Unite hanno però anche evidenziato che tutto questo non implica che nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della Salute per il risarcimento del danno derivato dall’emotrasfusione l’accertamento effettuato in sede amministrativa del nesso causale fra quest’ultima e l’insorgenza della patologia non possa essere utilizzato ai fini della prova del nesso medesimo, che deve essere offerta dalla parte che agisce in giudizio.
Secondo la Corte, infatti, il diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e quello al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., che l’ordinamento riconosce come concorrenti, presuppongono entrambi un medesimo fatto lesivo, ossia l’insorgenza della patologia, derivato dalla medesima attività (cfr. in motivazione Cass. S.U. 11 gennaio 2008 n. 584), e l’azione di danno si differenzia da quella finalizzata al riconoscimento della prestazione assistenziale essenzialmente perché richiede anche che l’attività trasfusionale o la produzione di emoderivati siano state compiute senza l’adozione di tutte le cautele ed i controlli esigibili a tutela della salute pubblica. Si è in presenza, quindi, di diritti e di azioni che presentano elementi costitutivi comuni.
Premesso questo, le Sezioni Unite hanno riconosciuto un valore di prova presuntiva al provvedimento che, sulla base dell’istruttoria svolta e del parere tecnico acquisito, disponga la liquidazione dell’indennizzo in favore del richiedente, sul presupposto dell’avvenuto accertamento in sede amministrativa dei requisiti tutti che integrano gli elementi costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale, elementi tra i quali rientra … il nesso causale che lega emotrasfusione e patologia indennizzata. Pertanto, l’atto con il quale l’amministrazione si riconosce debitrice della provvidenza assistenziale presuppone la valutazione positiva della derivazione eziologica, valutazione che se da un lato, in quanto tale, non può integrare una confessione, dall’altro costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale.
Ne consegue che qualora il danneggiato produca in giudizio il provvedimento di liquidazione dell’indennizzo e/o dell’assegno una tantum o riversibile ex art. 2, comma 3 della legge 210/1992 il Ministero della Salute, nel costituirsi in giudizio, non potrà limitarsi alla generica contestazione del nesso causale ed all’altrettanto generica invocazione della regola di riparto dell’onere probatorio fissata dall’art. 2697 c.c., poiché la presunzione “forte” che dal riconoscimento amministrativo discende, seppure semplice e non legale, richiede, per essere superata, che vengano allegati specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano.
Tutto questo, peraltro, non realizza alcuna inversione dell’onere della prova, che resta a carico del danneggiato, perché la regola di giudizio qui enunciata attiene alla idoneità dell’elemento presuntivo a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, idoneità che va ritenuta, salva l’allegazione di contrari elementi specifici e concreti che rendano il primo inattendibile, sì da impedire che sullo stesso possa essere fondato il giudizio di inferenza probabilistica.
Le azioni di risarcimento danni, peraltro, possono essere promosse non solo nei confronti dell’Amministrazione ma anche della struttura ove è avvenuto il contagio.
Occorre quindi chiedersi se il principio sopra evidenziato sia applicabile anche nei giudizi azionati verso questi diversi soggetti, quesito a cui ha risposto positivamente la terza sezione civile della Cassazione, con sentenza n. 16780/2024, pubblicata il 17 giugno 2024.
In tale ultima pronuncia la Suprema Corte ha osservato che l’efficacia di prova presuntiva del provvedimento di riconoscimento dell’indennizzo ex lege 210/1992 può essere fatta valere non solo nei confronti del Ministero della Salute, ma anche di altri soggetti eventualmente responsabili sul piano risarcitorio per il contagio per cui è causa, rispetto ai quali il predetto provvedimento costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale.
Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari