La Corte di cassazione ha recentemente depositato tre importanti pronunce in materia di decadenza del diritto all’indennizzo.
Con ordinanza n. 6923 del 30 marzo 2010 resa ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., segnalatami dal collega Luigi Delucchi (che ringrazio), la sezione lavoro della Corte era chiamata a decidere su un ricorso il cui unico motivo denunciava la violazione dell’art. 3 comma 1 della legge 210/92 e dell’art. 1 comma 9 della legge 238/97, deducendo che “questa seconda norma, con la quale è stato introdotto il termine triennale di decadenza per la richiesta del beneficio in questione, in precedenza sottoposto all’ordinaria prescrizione decennale, non ha effetto retroattivo e non è perciò applicabile alle affezioni per emotrasfusioni verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore“.
La Corte ha definito il ricorso “manifestamente fondato“, considerato che al momento di entrata in vigore della legge 238/97 “il diritto all’indennizzo per l’epatite derivante da trasfusione era già entrato nel patrimonio del danneggiato ed era soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale“; la normativa sopravvenuta non poteva pertanto “incidere su detto termine, riducendolo: tale normativa, in mancanza di diversa previsione esplicita o comunque inequivocabilmente desumibile, non poteva, in base all’art. 11 disp. gen., avere effetto che per l’avvenire“.
La Corte sembra quindi aver dato decisivo rilievo alla circostanza che un conto è divenire titolari di un diritto (titolarità che nel caso di specie deve ovviamente ricondursi alla trasfusione), mentre tutt’altra cosa è poterlo esercitare (esercizio che presuppone la consapevolezza di aver contratto un’epatite indennizzabile a seguito di trasfusioni di sangue).
Con sentenze n. 8064 e 8065 dell’1 aprile 2010 (sulla quali avrò occasione di tornare, in quanto chiariscono quali siano i presupposti per il riconoscimento dell’ascrivibilità tabellare), le Sezioni Unite della Suprema Corte intervengono invece incidenter tantum in materia di decorrenza del termine di decadenza, stabilendo che “l’affermazione di una soglia minima di indennizzabilità comporta anche … che il termine di decadenza di tre … anni, di cui all’art. 3, comma 1, si sposta in avanti nel senso che comincia a decorrere dal momento della consapevolezza, da parte di chi chiede l’indennizzo, del superamento della soglia“.
Non è quindi idoneo a far decorrere tale termine il semplice accertamento della positività agli anticorpi del virus C, che normalmente costituisce la prima manifestazione della consapevolezza del contagio.
Alberto Cappellaro