Con la sentenza n. 1568 del 3 giugno 2009, resa in un caso seguito dallo studio e che pubblico per estratto, la Corte di appello di Milano si è occupata di diversi profili concernenti il risarcimento del danno da epatite C, contratta nel corso di un ricovero ospedaliero.
La Corte ha innnanzi tutto confermato che la responsabilità dell’ospedale dove è avvenuto il contagio ha natura contrattuale, così come stabilito dalla Cassazione nella sentenza n. 577/08.
In tema di riconoscimento di nesso causale tra trasfusioni e malattia, la Corte ha inoltre ritenuto applicabile “la regola di giudizio della sentenza n. 581/2008 delle Sezioni Unite della Cassazione”: è quindi sufficiente che il nesso sia dimostrato sulla base di criteri di “certezza probabilistica” e tenendo conto di eventuali possibili elementi alternativi, che potrebbero escludere tale nesso.
In merito a quest’ultimo aspetto, la Corte ha rilevato che tali possibili elementi alternativi erano, nel caso di specie, stati “solo astrattamente ipotizzati dall’appellante“: si deve quindi concludere che la parte interessata ad escludere l’esistenza del nesso causale debba dimostrare in maniera rigorosa l’esistenza di questi eventuali elementi.
Per quanto concerne la decorrenza della prescrizione, la Corte non ha accolto la tesi dell’ospedale, secondo il quale il termine di estinzione del diritto dovrebbe decorrere dal momento in cui è stata posta in essere la condotta illecita (e quindi dalla data della trasfusione, anche quando il danno è stato scoperto successivamente): i giudici di appello hanno invece affermato, richiamando esplicitamente la sentenza 581/08 della Cassazione, che la prescrizione decorre non dal giorno della trasfusione ovvero “dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze” scientifiche.
In merito alla responsabilità della struttura ospedaliera, la Corte d’appello ha applicato anche agli ospedali il principio di diritto stabilito dalla Corte di cassazione nella sentenza 581/08, riconoscendo quindi che gli ospedali (così come il Ministero della salute) sono responsabili per tutti i contagi successivi alla scoperta dell’epatite B. La Corte di appello, inoltre, ha stabilito che tale scoperta è avvenuta nel 1965 (e non nel 1978, come erroneamente sostenuto dal Ministero della salute successivamente al deposito della sentenza citata).
La Corte di appello, infine, ha escluso lo scomputo dell’indennizzo dal risarcimento, qualora il debitore sia una struttura ospedaliera: lo scomputo si applica infatti solo quando il debitore sia il Ministero della salute, al fine di “evitare un arricchimento ingiustificato che si sarebbe determinato giacchè il danneggiato, in relazione ad un fatto lesivo del medesimo interesse tutelato, avrebbe goduto di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) e aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue). Nel caso oggetto di causa, invece, l’obbligazione risarcitoria … è a carico del danneggiante (la struttura sanitaria), mentre l’indennizzo ex lege 210/1992 incombe sul Ministero della Salute“. L’ospedale, qualora potesse beneficiare dello scomputo, conseguirebbe infatti un indebito vantaggio, consistente nel “vedere ridotti i suoi obblighi risarcitori per il solo fatto che lo Stato ha versato, sia pure per i medesimi fatti, un importo a titolo di indennizzo. Ciò non è possibile sia per la diversità dei soggetti … sia per la diversità della natura dell’erogazione, risarcitoria l’una e indennitaria l’altra“.
Alberto Cappellaro