Sono passati ormai cinque mesi dalla conversione in legge del decreto che ha introdotto la ben nota norma interpretativa relativa all’art. 2 della legge 210/92, con la quale il legislatore ha escluso che l’indennizzo ex lege 210/92 debba essere rivalutato per intero (e quindi anche nella componente determinata con riferimento all’indennità integrativa speciale).
Questa nuova disciplina è stata già esaminata da diversi giudici di merito, con esiti opposti.
Come avevo anticipato in un precedente commento, con ordinanza del 17 settembre 2010 il Tribunale di Reggio Emilia – sez. lavoro ha sollevato la questione di legittimità costituzionale con riferimento agli articoli 11, commi 13 e 14, del d.l. 31 maggio 2010 n. 70, convertito con legge 122/2010. Secondo quanto mi risulta, l’ordinanza non sarebbe ancora stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
La pronuncia reggiana, a mio giudizio, solleva profili fondamentali di incostituzionalità della norma, ma ne ignora o quanto meno ne sottovaluta altri, come ad esempio quelli relativi alla violazione dell’art. 117 co. 1 Cost. (con riferimento alla contrarietà della nuova disciplina con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed particolare agli art. 6 e 2 CEDU, norma quest’ultima che impone la necessità del rispetto del c.d. “nucleo essenziale della garanzia”).
Peraltro, ad oggi tutti i giudici che sembrano orientati a reputare incostituzionale la nuova normativa si sono limitati a rinviare o a sospendere i giudizi pendenti, in attesa che si pronunci la Consulta.
Non sono mancati, ovviamente, magistrati che hanno ritenuto la nuova disciplina del tutto legittima, sulla base di considerazioni che si possono così riassumere:
a) il d.l. 78/10 risponde ad una esigenza di tutela delle finanze pubbliche, costituendo il risultato di un equo contemperamento tra queste esigenze e quelle, individuali, degli aventi diritto all’indennizzo (come ad esempio la tutela della salute);
b) l’equità dell’indennizzo sarebbe comunque garantita, in quanto la legge 210/92 prevede la rivalutabilità dell’altra componente dell’indennizzo medesimo (e cioè della parte non determinata con riferimento all’indennità integrativa speciale).
Mi pare però che questa impostazione ometta di considerare altre circostanze, certamente di non poco peso.
Innanzi tutto che la Corte costituzionale ha già censurato disposizioni che incidevano sul nucleo essenziale della garanzia (v. ad es. la sent. 497/88): norme cioè che finivano per vanificare la tutela riconosciuta dal legislatore.
Inoltre che, se è certamente vero che la legge 210/92 prevede la rivalutazione di una parte dell’indennizzo, la quota rivalutata rappresenta circa il 10% dell’importo annuo complessivamente liquidato ai danneggiati: e quindi tale adeguamento è del tutto inidoneo a temperare gli effetti della svalutazione monetaria.
Sulla vicenda la decisione della Corte costituzionale avrà ovviamente un peso rilevante.
Anche qualora questa decisione fosse negativa, peraltro, la questione sarebbe tutt’altro che chiusa.
Rimarrebbe innanzi tutto da valutare la compatibilità della nuova disciplina con il diritto comunitario ed in particolare con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con la già citata Convenzione europea dei diritti dell’uomo: a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, infatti, la prima di queste due convenzioni è stata equiparata ai trattati istitutivi dell’Unione, mentre la seconda è stata espressamente inclusa nei principi generali del diritto comunitario.
Andrebbe poi valutata la compatibilità della riforma con la CEDU, in se e per sè considerata: e quindi non avanti alla Consulta, sotto il profilo dell’eventuale violazione dell’art. 117 co. 1 Cost., ma direttamente alla Corte europea di Strasburgo.
Alberto Cappellaro