Risarcimento: salute e consenso informato sono diritti diversi


Con sentenza n. 2847/2010 (pubblicata in Foro it. 2010, I, 2113), la terza sezione civile della Corte di cassazione ha effettuato alcune importanti precisazioni in merito al diritto del paziente ad essere informato sulle conseguenze del trattamento medico cui sta per sottoporsi.

La Suprema Corte ha innanzi tutto affermato che spetta al medico dimostrare di aver informato esaurientemente il paziente.

La semplice mancata informazione non basta però per ottenere un risarcimento: il paziente deve infatti provare sia che, se informato, non avrebbe acconsentito al trattamento, sia i danni conseguentemente subiti.

La Corte evidenzia anche la radicale differenza tra diritto all’autodeterminazione e quello alla salute: un consenso consapevole non esclude infatti una “responsabilità da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita“; per converso, “la lesione del diritto all’autodeterminazione non necessariamente comporta la lesione della salute, come accade quando manchi il consenso ma l’intervento terapeutico sortisca un effetto assolutamente positivo“.

Questa seconda ipotesi non esclude però automaticamente il danno, che secondo la Corte può assumere sostanzialmente due forme.

Innanzi tutto quella del pregiudizio che il paziente avrebbe comunque preferito sopportare, al posto dell’intervento o della terapia: a questo proposito la Corte ricorda che solo il malato, unico titolare dei diritti in conflitto (vita ovvero salute da una parte, perdita della vita ovvero sofferenze fisiche dall’altra), ha il diritto di decidere quale interesse privilegiare.

A titolo esemplificativo, la Corte cita il caso del testimone di Geova che muoia per aver rifiutato una trasfusione di sangue, pratica contraria alle proprie convinzioni religiose, nonché quello di chi preferisca lasciare che una malattia segua il proprio corso, anche letale, pur di non dover sopportare determinate sofferenze fisiche.

Una ulteriore tipologia di danno è costituita dalle conseguenze dell’intervento “del tutto inaspettate perché non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accettate“: conseguenze che danno però diritto ad un risarcimento solo quando superano “un certo livello minimo di tollerabilità“.

Alberto Cappellaro