Indennizzo per doppia patologia: spetta non solo per i danni direttamente derivanti dal trattamento sanitario, ma anche per quelli indiretti, purché ad esso causalmente collegati, in modo da costituirne un effetto non del tutto imprevedibile e inverosimile


L’articolo 2, comma 7, della legge n. 210 del 1992, come sostituito dall’art. 7, comma 1, del Decreto Legge n. 548 del 1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 641 del 1996 stabilisce che Ai soggetti danneggiati che contraggono più di una malattia ad ognuna delle quali sia conseguito un esito invalidante distinto è riconosciuto, in aggiunta ai benefici previsti dal presente articolo, un indennizzo aggiuntivo, stabilito dal Ministro della sanità con proprio decreto, in misura non superiore al 50 per cento di quello previsto ai commi 1 e 2.

In altre parole, qualora il titolare dell’indennizzo contragga una ulteriore patologia, denominata doppia patologia, aggiuntiva e quindi distinta rispetto a quella originaria che aveva dato diritto al beneficio, la legge gli attribuisce il diritto ad un ulteriore indennizzo, pari al massimo al 50 per cento di quello già liquidato.

La norma sopra citata è stata interpretata in modo non uniforme.

Secondo una prima tesi, può essere qualificata come doppia patologia unicamente quella che trova origine nel trattamento sanitario che ha provocato il danno, con il conseguente indennizzato delle sole conseguenze dirette del trattamento medesimo.

Questa tesi è stata accolta dalle Linee-guida per la gestione uniforme delle problematiche applicative della legge 25 febbraio 1992, n.210 in materia di indennizzi per danni da trasfusioni e vaccinazioni, elaborate, da ultimo, il 23 settembre 2004 in sede di Conferenza Stato Regioni, il cui testo è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 246 del 19 ottobre 2004.

Nelle predette Linee Guida si legge infatti che la domanda di indennizzo per doppia patologia può essere presentata dalle persone che in conseguenza di vaccinazioni o trasfusioni di sangue o emoderivati hanno contratto più di una malattia determinante un esito invalidante distinto.

L’interpretazione qui esaminata parrebbe accolta anche dalla ordinanza n. 19704/2018 della Suprema Corte la quale, pur occupandosi del termine di decadenza della provvidenza qui esaminata, incidenter tantum afferma che l’indennizzo per doppia patologia si configura come accessoria rispetto all’indennizzo principale che spetta per le conseguenze dannose irreversibili dell’epatite post-trasfusionale, che ne costituisce un presupposto necessario, ma rispetto ad esso è autonomo, necessitando di un ulteriore elemento costitutivo, qual è la derivazione eziologica dalla trasfusione di una seconda malattia con distinto esito invalidante.

Secondo una diversa è più corretta interpretazione per la sussistenza della doppia patologia è sufficiente che quest’ultima si configuri come effetto anche solo indiretto del trattamento sanitario, sempre però eziologicamente collegata a quest’ultimo.

Questa tesi è stata fatta propria dalla ordinanza n. 31237/2024 della Cassazione, secondo la quale l’indennizzo aggiuntivo di cui all’art. 2, comma 7, della legge nr. 210 del 1992 copre non solo i danni diretti derivanti dagli eventi di cui all’art. 1 della legge nr. 210 del 1992 (vaccinazione e/o trasfusione e/o contagio infetto) ma anche gli effetti dannosi indiretti ove oggettivamente prevedibili quali effetti che derivano o che possono derivare – secondo l’id quod plerumque accidit – dalla lesione personale.

Questa interpretazione è, innanzi tutto, conforme al dettato normativo, l’articolo 2, comma 7 della legge 210/1992, infatti, richiede unicamente l’esistenza di una malattia ulteriore, a cui sia conseguito un esito invalidante distinto rispetto a quella originariamente indennizzata, mentre non richiede la derivazione diretta della seconda patologia … dalla trasfusione (o dalla vaccinazione), come correttamente evidenzia la Suprema Corte nella pronuncia qui commentata. Invero, la norma sopra citata fa riferimento ai soggetti “danneggiati” (che hanno quindi già subito il danno epatico) e che “contraggono più di una malattia”, con formula estesa, comprensiva delle malattie successivamente insorte e causalmente ricollegate, in senso ampio, al danno epatico.

Nell’identificare il nesso causale tra una doppia patologia e la trasfusione (o vaccinazione), occorrerà quindi dare rilievo a tutte le serie causali che, nel momento in cui si produce l’evento causante, intervengano a configurarsi quale effetto non del tutto imprevedibile e inverosimile, in ottemperanza del cosiddetto principio di regolarità causale.

Ai fini del riconoscimento dell’indennizzo per doppia patologia sarà quindi sufficiente che tra la trasfusione di emoderivati e l’ulteriore malattia, successivamente insorta, si rinvenga un nesso di causalità adeguata, in virtù del quale, in mancanza dell’originario fattore, da cui muove l’intera serie causale, non avrebbe avuto luogo l’insorgere dell’evento finale, serie che pertanto può essere interrotta unicamente da un evento, temporalmente compreso tra il trattamento sanitario e la seconda patologia, che possa configurarsi come causa sufficiente e unica del danno.

Come correttamente evidenzia la Suprema Corte, questa interpretazione è, altresì, conforme a Costituzione, essendo idonea a garantire che l’indennizzo risulti equo rispetto al danno subito (C. Cost. nr. 118 del 1996), equità conseguibile solo ove si tenga conto di tutte le componenti del danno stesso (C. Cost. nr. 307 del 1990). Invero, la pluralità di menomazioni, rendendo più penose le condizioni di vita del soggetto, giustifica un indennizzo ulteriore quale forma di adeguamento del maggior danno rispetto al soggetto colpito da una singola menomazione irreversibile.

In conclusione, la Cassazione ha conseguente stabilito che la decisione della Corte di appello che ha ritenuto dovuto l’indennizzo aggiuntivo, di cui all’art. 2, comma 7, legge nr. 210 del 1992, per la patologia insorta a seguito del trattamento terapeutico intrapreso per il danno epatico cagionato dall’emotrasfusione è, dunque, coerente con il principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 41 cod. pen. (in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale) e con il suo temperamento dato dal principio di causalità efficiente, desumibile dall’art. 41, secondo comma, cod. pen. (in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto.

Ringraziamo il Collega Domenico Porcelluzzi per la segnalazione e ci complimentiamo con lui per il risultato ottenuto.

Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari